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Mimmo Paladino

“Lo spazio è una circostanza non determinante. Le dimensioni di un tavolino possono essere sufficienti a provocare tensioni e strategie degne del più vasto affresco”.

Si può riassumere in questo modo, l’idea artistica di Domenico Paladino. Già nel 1964, visitando la Biennale di Venezia, Paladino resta segnato dalla visione degli artisti Pop americani. Pochi anni più tardi inizia le sue sperimentazioni con il mezzo fotografico associandolo spesso a disegni.

Nato a Paduli, in provincia di Benevento il 18 dicembre 1948, Mimmo Paladino passa la sua infanzia a Napoli e, dal 1964 al 1968, frequenta il Liceo Artistico a Benevento.
Muovendo dal clima comune del “concettuale”, la prima fase dell’attività dell’artista s’incentra principalmente sulla fotografia. La sua prima personale si tiene allo Studio Oggetto di Enzo Cannaviello a Caserta, nel 1969. I lavori prodotti in questa prima fase sono presentati alla Galleria Nuovi Strumenti di Brescia nel 1976.

Tuttavia, le eccezionali doti di disegnatore di Paladino non rimangono a lungo celate. Nel 1977, infatti, realizza un grande pastello sul muro della galleria di Lucio Amelio a Napoli e partecipa inoltre alla rassegna “Internationale Triennale für Zeichnung” organizzata a Breslavia.
Nello stesso anno si trasferisce a Milano.

Nella seconda metà degli anni ’70 egli riscopre la pittura e recupera il colore sia nella sua valenza espressiva sia nella matericità del pigmento: il suo interesse si concentra soprattutto sulla peculiarità della figurazione a divenire linguaggio.
Immagini astratte e oniriche si susseguono su grandi tele dai forti valori timbrici, spazialmente definite da strutture geometriche, rami e maschere che attraggono l’osservatore.

Gli anni a cavallo tra il ’78 e l’80 sono da leggersi come un periodo transitorio tra la posizioni concettuali sulle quali era assiso inizialmente e la rinnovata attenzione per la pittura figurativa. Le opere di questa fase sono in prevalenza dipinti monocromatici dalle tinte decise sui quali campeggiano strutture geometriche, ma anche oggetti ritrovati quali rami o maschere.

La sua arte riscuote ampio consenso all’estero. Nel 1980 giunge all’elaborazione di superfici di grandi dimensioni e opere di forte impatto visivo nelle quali racconta la vita e il mistero della morte. Utilizza l’incisione e molte altre tecniche per rappresentare il proprio “mondo interiore”, primordiale e magico. Introduce presto nelle sue tele elementi scolpiti, spiazzando i critici nella sua coesione di modernità e arte povera.

Mimmo Paladino affonda le sue radici negli anni Settanta, quando l’artista muoveva i primi passi nell’ambito di una figurazione ricca di elementi simbolici. Da tale atteggiamento discende l’attitudine, riscontrabile in tutta la successiva produzione, a lavorare sul linguaggio dell’arte e sulle sue articolazioni concettuali ed espressive. Paladino intraprende percorsi linguistici sorprendenti, sperimentando le diverse tecniche tradizionali: dal disegno alla pittura, alla scultura, al mosaico, all’incisione, all’immagine filmica che gli permettono di rappresentare il proprio “mondo interiore”, primordiale e magico.

Gli inizi degli anni ottanta, però, s’identificano sempre maggiormente con l’affermazione delle potenzialità di una pittura referenziale. Ad “Aperto ’80”, nell’ambito della Biennale di Venezia, il critico d’arte Achille Bonito Oliva propone la corrente della transavanguardia, di cui fanno parte Chia, Clemente, Cucchi e lo stesso Paladino. Le mostre alle quali l’artista campano partecipa in questi anni testimoniano quanto la sua pittura sia debitrice nei confronti del passato sia per i contenuti che per le forme, ma come al tempo stesso sia densa di simboli e capace di aprirsi a nuove prospettive.

Dal 1985 si cimenta, inoltre, con grandi sculture in bronzo e con installazioni sperimentando così la contaminazione tra diverse forme espressive. Celebre l’installazione in Piazza del Plebiscito di una gigantesca montagna di sale. Da queste opere di forte impatto, decide poi di asciugare la sua arte per spingersi verso un rigore sempre più evidente ed una semplificazione delle strutture. Primo fra molti artisti italiani, ha esposto nel 1994 a Pechino, celebrato dal gotha della critica d’arte contemporanea giapponese.

Accanto alla pittura, la scultura è parte fondamentale del lavoro di Paladino, come dimostrano alcune importanti opere inserite nel percorso espositivo; si tratta di fusioni in bronzo o in alluminio, legni spesso dipinti, ma anche rame, ferro e altri materiali.

Pur nella loro apparente fissità da icone le opere di Paladino conservano sempre un’ambiguità densa di allusioni. Le maschere senza sguardo, i profili arcaici delle teste, custodiscono valenze emblematiche che sfuggono ad un’interpretazione univoca, anzi appaiono serbare enigmi, misteri insondabili o segreti.
Nella seconda metà degli anni ’80 i lavori di Paladino risultano fondati su una composizione che va semplificandosi. Si restringe l’inventario dei segni, mentre il colore suggerisce l’intero spazio dell’opera: pochi attributi sono sufficienti per delinearne l’intera struttura.
Per la prima volta dal 1988, si potrà osservare ricostruita gran parte della sala personale realizzata dall’artista alla XLIII Biennale di Venezia.
Alla fine degli anni ’90 Paladino realizza diversi altri cicli pittorici, nei quali si rende evidente l’aspetto più problematico della sua ricerca, ovvero il continuo interrogarsi sul linguaggio dell’arte: la geometria, la frammentarietà, la molteplicità e l’accumulazione dei segni, insieme a improvvise cesure e cambi di registro, costituiscono alcuni fili conduttori della sua opera.
Nel 1995 Paladino diventa protagonista di Piazza Plebiscito realizzando, come punto di confluenza dei suoi lavori contemporaneamente esposti al Museo Pignatelli e alle Scuderie di Palazzo Reale, la sua memorabile Montagna di sale: vibrazioni cromatiche, grandi campiture di colore, installazioni scultoree, forme animali e umane, cavalli rovesciati sul sale rimangono ancora oggi nella memoria dei napoletani; testimonianza superstite di quel grande evento è Vasca, oggi conservata nella collezione di Arte contemporanea del Museo di Capodimonte.

La sua produzione inizia ad essere conosciuta anche all’estero, grazie ad una mostra itinerante del 1980, che si sposta da Basilea ad Essen, ad Amsterdam, oltre ad una personale alla Badischer Kunstverein di Karlsruhe. Intanto la dimensione dei suoi lavori si amplia e nelle sue tele convivono teschi, scheletri, maschere e animali, che contribuiscono all’edificazione di un mondo misterioso. Mentre le mostre che espongono le sue opere si susseguono numerose, l’artista prosegue la sua ricerca con una grande varietà di sperimentazioni tecniche e servendosi anche di scultura, disegno ed incisione. Nell’ambito dell’incisione opera con l’acquaforte, l’acquatinta, la linoleografia e la xilografia. Nell’attività plastica utilizza il legno, il marmo, il gesso ed il bronzo. Nel 1982 partecipa a Documenta di Kassel e hanno luogo importanti personali e del 1985 è la sua prima retrospettiva al Lenbachhaus di Monaco. I diversi viaggi compiuti in Brasile contribuiscono ad introdurre nella sua pittura componenti animistiche e fortemente emotive.

Verso la fine degli anni Ottanta si riscontra nei suoi lavori un maggiore rigore ed una composizione molto più semplificata. Nel 1990 realizza la scenografia de La sposa di Messina di Schiller a Gibellina per la regia di Elio Capitani e costruisce per la prima volta la Montagna di sale. Del 1992 è l’installazione permanente Hortus conclusus nel complesso universitario di San Domenico a Benevento.

Negli anni successivi si dedica più intensamente alla stampa d’arte ed esplora altri settori, come quello della ceramica e della terracotta. Musei di rilevanza mondiale espongono le sue opere.
Mimmo Paladino vive e lavora tra Paduli, Roma e Milano.

Nel 2003 Paladino viene scelto in qualità di rappresentante dell’arte italiana durante la presidenza italiana a Bruxelles: la scultura equestre Zenith è installata nella piazza della sede del Parlamento Europeo.

Qualche anno più tardi, al Museo di Capodimonte di Napoli presenta un lavoro dedicato a Don Chisciotte che prelude Quijote, il lungometraggio che l’artista dirigerà l’anno successivo.

Nel 2010 Mimmo Paladino ha firmato la scenografia di work in progress, tour che ha visto riunirsi dopo trent’anni la coppia Lucio Dalla e Francesco De Gregori.