Accesso Istituzionale Accesso Collezione privata

Antonio Nocera

Nato il 1949 a Napoli;
Biografia: L’attività pressoché trentennale di Nocera è percorsa da una sorta di fil-rouge a un capo del quale si dipana il ricorrente Pulcinella, imperituro simbolo partenopeo-universale dell’essere umano con le sue debolezze, astuzie, in eterna lotta per la sopravvivenza; all’altro estremo è Pinocchio (comparso da una decina d’anni a infoltire il gruppo degli altri emblematici personaggi, Eva, la ballerina, i teatranti, Rigoletto, Cappuccetto rosso, il Gatto con gli stivali etc.): anche lui vessillo fiabesco dell’immaginario collettivo, eterno burattino sempre in bilico tra l’anima di legno e quella di carne, in un dualismo nel quale è facile identificarsi. Sia la maschera napoletana che la figura collodiana hanno impliciti risvolti, veicolano messaggi allusivi alla realtà sociale, poeticamente traslati nella dimensione popolare-fiabesca. I contenuti sono sotto metafora, mai direttamente espliciti anche in un soggetto come la Rivoluzione francese, affrontato con diverse tecniche grafiche e pittoriche, che, narrato senza cruenza, procede per immagini significanti e arriva nel profondo dell’animo. Così pure il tema sacro (illustrazioni per i Vangeli) è sulla medesima lunghezza d’onda, narra il “racconto” in toni umani e accostanti. Vi è poi uno sviluppo formale connesso nel tempo, il permanere di un impianto figurativo eminentemente grafico, le scure marcature dei contorni, le linee incisive non avulse da manierismi, caratterizzate da inconfondibili sigle stilistiche (i volti stereotipi, allungati e sguscianti, l’obliquo taglio degli occhi etc.). Il versante scultoreo è popolato dai medesimi protagonisti, egualmente dotati di un’intensa carica emozionale. Il colore acceso dei dipinti si ritrova di recente in alcuni bronzi policromi, quasi a indicare l’esigenza dell’artista di travalicare i confini, far recitare ai suoi personaggi la “commedia umana” dell’esistenza in un unico palcoscenico.

Nasce a Caivano, Napoli, nel 1949. Frequenta l’Istituto d’Arte, i corsi di pittura, scenografia e scultura dell’Accademia di Belle Arti di Napoli. Dal 1970 risiede a Milano; ha contatti con l’ambiente artistico di Brera e dei pittori del Naviglio (con i quali nei suoi esordi ha preso parte a una performance in Viale Toscanini a Parma) e vi espone per la prima volta (1972). Una successiva mostra alle Scuderie della Pilotta di Parma (1975), le altre in Francia, Svizzera, Inghilterra, mete di altrettanti viaggi di Nocera, ne accrescono la notorietà, segnando l’avvio d’una notevole attività espositiva e lo svolgimento d’importanti commissioni. Nel 1977 si trasferisce a Parma con la famiglia. Dal 1988 ha uno studio a Roma e, dal 1994, un altro a Parigi, nel cuore di Saint-Germaine-des-Prés. Il comitato per le celebrazioni del bicentenario della Rivoluzione francese (1989) lo invita a esporre al Parlamento Europeo di Strasburgo e quindi nella capitale italiana, sotto il patrocinio dall’ambasciata francese. Nel 1997 esegue le acqueforti per il volume Le Petit Chaperon Rouge e opere grafiche a favore Fondazione Mondiale per la ricerca sull’AIDS del Prof. Montagnier. Nel biennio1998-1999 realizza la scultura ufficiale dell’XI Congresso Mondiale dell’Associazione Internazionale di Relazioni Industriali svoltosi a Bologna, presenta un bassorilievo a Giovanni Paolo II e illustra un’edizione dei Vangeli per l’anno giubilare. Le gallerie Modula Arte di Parma (che nel 1993 aveva presentato Histoire de Pinocchio dell’artista) e Liehrmann di Liegi ospitano il nucleo d’opere Terres de lune, terres de fable. Nel 2001 espone alla Galleria Fürstenberg di Parigi, e presenta all’Università di Parma il ciclo Pinocchio e la luna. Nel 2002, sotto il patrocinio della Fondazione Nazionale Carlo Collodi, espone a Firenze, nella Nascent House di Palazzo Viviani e nella Galleria Tornabuoni, C’era una volta e ci sarà sempre – Pinocchio e la Luna un consistente assieme di opere legate al tema, sviluppato anche nelle illustrazioni del volume Pinocchio, storia di un burattino nell’edizione (con testo integrale del Lorenzini, sotto l’egida della Fondazione Collodi) e oggetto di rassegne itineranti da Roma a Genova, Collodi, Todi, Perugia, Parigi, Bruxelles, Liegi, Montecarlo, New York, Tokyo (2002-2003).

Antonio Nocera non illustra le fiabe; le riscrive. Alle tortuose, e spesso complicatissime, trame ruba i personaggi; li sfila dalle linee della scrittura aprendo le progioni del libro e del ripetitivo copione delle pagine; li scioglie dalle catene dei luoghi comuni dell’esegesi cui sono stati sottoposti e degli usi banali e ripetitivi che ne sono stati fatti: siano stati essi le zuccherose e stucchevoli animazioni americane o gli invasivi usi folcloristici e oleografici nostrani. Pulcinella non è più la dolente maschera del perenne affamato, sfortunato e scaltro emblematico rappresentante di un’endemica napoletanità; diventa il funambolo un po’ lunare che, ormai slacciato dai terreni legami col golfo, col Vesuvio, e col dialetto, volteggia nello spazio correndo sul sottile filo di una linea dinamica ormai senza luogo identificabile e finalmente senza tempo. Cappuccetto Rosso e Pinocchio, fuori dalle regole delle loro storie, non sono minacciati da lupi voraci, da balene antropofaghe, da volpi imbroglione, non devono più attraversare oscuri boschi e mari in tempesta, ma volano felici fra terra e luna in uno scintillante pulviscolo cosmico. Con Nocera quello che c’era una volta all’inizio di ogni storia, ora sembra non esserci più: la storia è stata riscritta. La gigantesca ampolla di cristallo che racchiudeva, legati ai piombi delle trame i nostri più amati personaggi, cade dalle mani di un grande ed immutabile demiurgo, narratore e carceriere, rompendosi irrimediabilmente; il fragore del cristallo in frantumi è sopraffatto dalle mille voci di gioia dei prigionieri che fuggono. Nocera li ha liberati, svutoando le segrete più scure delle pagine dei libri e lasciando che essi seguano il loro a lungo represso instinto; li ha affrancati come se avesse avvertito che i personaggi dei libri fossero stanchi di recitare e mimare da sempre la loro storia senza avere nemmeno più l’attesa di un’imprevista e rinfrescante variante della tradizione orale, e volessero, alla fine, fuggire il più lontano possibile, per vivere nuove esperienze come protagonisti di nuove storie. Ma i poveri e indifesi burattini, i teneri e piccoli personaggi delle fiabe, le minuscole creature vissute a lungo nelle mani di maghi e di fate, se non hanno più le catene delle pagine non posseggono più nemmeno la guida della scrittura e la traccia della trama sulla quale muoversi, con la sia pur metronomica e noiosa sicurezza di un tempo. Rischiano perciò di smarrirsi tra i misteri, i simboli, gli imprevisti delle foreste magiche che avvolgono ogni saga, che taglliano in due le storie di migliaia di fiabe, che insidiano e inceppano percorsi di conoscenza, che fermano e fanno perdere l’orientamento al viaggiatore, che oppongono migliaia di prove all’eroe, che tengono perennemente lontana la meta da raggiungere. A salvarli è la freschezza della loro nuova vita, la leggerezza, l’esser fatti, all’occorrenza, di solo segno e di solo colore. Lieviteranno, come se evaporassero verso lo spazio. Ma dalle fiabe non scivolano via solo i personaggi; volano via anche i monti, i prati, i fiumi, le case, gli alberi; una volta staccato il contatto con la scrittura, si fanno aerei, lievi, evanescenti, quasi incorporei, duttili e docili all’invito di Antonio Nocera. Forti della loro esperienza di persone, di animali, di piante e di cose raccontate per secoli., sapranno a loro volta, raccontarsi da soli anche senza la tragicità voluta da chi per la prima volta ha scritto di loro: le loro antiche storie si combineranno con nuove trame, nuovi viaggi, nuovi amori, nuove magiche avventure. Antonio Nocera è un lettore di libri ed un osservatore del cosmo, irrequieto e visionario, istintivamente incline al sovvertimento delle regole fisse; quelle della sintassi di una scrittura, quelle della gravità, quelle degli equilibri del creato. Il suo lunarismo è sognante, giocoso e, ad un tempo, beffardo; fluttuando egli stesso nello spazio accanto agli amici delle fiabe, riesce a fermare meteoriti in caduta, raffreddandole e irrorandole di vita, di piante, di uomini, di case. Così per gioco, sottrae a Saturno uno dei suoi cerchi e lo offre ai suoi burattini perché vi possano scivolare dentro o scorrere sull’esterno con l’agilità di abilissimi pattinatori. Anche la spugnosa e permeabile luna si rapprende, si consolida e dà vita e alimento alle sue creature, anche nel momento in cui è nella sua condizione di sottile falce; perché la Luna di Nocera è proprio come noi la osserviamo da terra e come la rivediamo nel nostro immaginario: piena, calante, crescente, rossa, azzurra. Oggi si legge poco. Ce lo ripetono fino alla noia. Non si perde così solo la possibilità di informarsi, di istruirsi, di acquisire strumenti di conoscenza, di lavoro, di libertà. Oggi si legge poco e perciò si sogna poco. La lettura, soprattutto quella dell’infanzia dei cinquantenni di oggi, stata spesso appesantita dalla necessità di ricordare e di far tesoro di quanto si era letto alla ricerca dell’utile e dell’utilizzabile, alla ricerca di una morale. Anotonio Nocera legge ancora le fiabe della sua infanzia; le scompone, le stravolge, le ricompone dopo averle diluite e miscelati coi suoi sogni, con le sue visioni, con i suoi colori e le sue forme. E trasferisce le sue suggestioni a noi suggerendoci subliminalmente anche le musiche che hanno accompagnato la sua lettura del testo, la sua trascrizione figurativa, per nostra ulteriore rielaborazione emozionale. Per un visionario, come lui, insofferente, di schemi e di etichette, tutte le tecniche sono di volta in volta buone per assecondare il suo empito creativo. Il collage gli permette di sfrenare tutta la sua frenesia di “scompositore” e ricompositore; l’acrilico pronto ad asciugarsi e a rapprendersi quasi fulmineamente appena steso sulla tela sembra suggerirgli di imprimere alla mano che dipinge velocità e dinamismo e di arricchire, ad un tempo, il quadro di quei pastosi grumi di colore sui quali l’occhio dello spettatore corre come potrebbe fare una mano alla ricerca di emozioni tattili; la faticosa fusione lo rende domatore vulcanico, della materia posta in crogiuolo per squadernarsi in lamine, in superfici lanceolate, in medaglioni o per conglutinarsi in corpi sferici; l’immediatezza rapida di una matita o di un carboncino, che tratteggia sciabolando o descrive vagabondaggi curvilinei, è lì per la istantanea annotazione di un’idea o la cattura dal vivo di un particolare. E per noi è assai forte l’emozione e il senso di disorientamento quando Nocera ci rimette nelle mani i personaggi sottratti alle tradizioni popolari agli Andersen, ai Grimm ai Perrault, affidandoli alla nostra fantasia di spettatori, di lettori, di creatori rendendo lecite tutte le nostre digressioni i nostri percorsi le nostre reminescenze suscitate al primo affascinante e disorientante impatto con la sua opera. Rivedremo forse in Pulcinella che corre, finalmente felice, il dinamismo delle forme nello spazio di Boccioni; risentiremo il taccisismo morbido delle ballerine di Degas; scorgeremo involontariamente il costruttivismo ludico di Depero; avvertiremo echi dello schematismo ossessionante di Kodra; rivivremo la sognante indisciplina di Chagall. E riascolteremop la musica di Stravinsky e di Ravel, di Shoenberg e di Hoist, immaginando complicità e intese anche musicali con l’artista come ulteriore tramite comunicativo tra lui che compone, dipinge e scolpisce e noi che ne guardiamo l’opera, spinti in queste felicissime divagazioni dalle sonorità stesse di alcune sue creature squillanti, come in un suo indimenticabile spicchio di luna che “tintinnabula” nel cielo. Esistono queste reminescenze che a noi è parso di veder riaffiorare e queste complicità simpatetiche di ascolto? Forse no. Ma è stato lui, Antonio Nocera, con la sua libertà di interpretazione ad autorizzarci, a spingere noi spettatori della sua opera alle più libere e alle più stravaganti interpretazioni. Non c’è, allora, nelle sue creazioni solo la trasmissione di quella che Kandiskij chiamava vibrazione interiore; c’è anche il suggerimento a leggere ad ascoltare e a guardare, per ricreare noi, ciascuno con la propria fantasia, una personale variazione sul tema di una fiaba.